L’abitato protostorico di Monte Croce Guardia è collocato tra i 650 e i 670 metri sul livello del mare nel territorio di Arcevia. Le prime notizie di rinvenimenti archeologici risalgono alla fine dell’Ottocento a seguito di ricerche condotte da Anselmo Anselmi. È solo però alla fine del secolo scorso che si cominciano a chiarire cronologia, estensione e significato del contesto.

 

Il villaggio si trova su un’altura isolata da ogni lato, caratterizzata da una sommità pressoché pianeggiante costituita dal pianoro del Monte della Croce verso nord, l’altura sommitale relativa al Monte della Guardia verso sud e dalla sella che collega le due alture, corrispondente alla parte meno elevata del sito. Gli scavi e le ricerche riprese dal 2015 dall’Università Sapienza di Roma, su concessione del Ministero della Cultura, hanno chiarito ulteriori aspetti riguardanti le dimensioni e la posizione dell’abitato. la superficie dell’area teoricamente abitabile è compresa tra 22 e 27 ettari. Tale estensione colloca il sito fra i più grandi abitati del Bronzo Finale (circa 1150-925 a.C.), paragonabile ai più grandi insediamenti noti in Italia per questo periodo. La posizione del grande villaggio è emblematica della scelta operata dalla comunità protostorica. Si tratta infatti di un’area fortemente isolata e quindi facilmente difendibile, con un controllo visivo territoriale molto esteso. Caratteristiche che inducono a ritenere che la comunità avesse bisogno di protezione e controllo del proprio territorio, necessità che indussero gli abitanti ad abbandonare i più comodi e redditizi villaggi colllinari del circondario per occupare questo nuovo e più grande abitato.

Le ricerche effettuate consentono di avere un’idea abbastanza precisa dell’organizzazione interna del villaggio. Le abitazioni erano dislocate sia nell’area più pianeggiante del Monte della Croce sia sulla sommità e sui pendii del Monte della Guardia.I rilevamenti geofisici hanno evidenziato chiare tracce di decine di abitazioni in un’area corrispondente a circa un terzo dell’intera estensione del villaggio. Possiamo dunque dedurre che complessivamente l’abitato fosse costituito da circa 80/100 case.

Le abitazioni scavate hanno forma rettangolare con canalette scavate nella roccia in cui venivano collocati i pali di sostegno per gli alzati. Le case avevano un’estensione compresa tra 90 e 130 metri quadrati e dunque potevano ospitare un nucleo familiare abbastanza ampio. La struttura complessiva era composta da due navate interne scandite da una fila centrale di grossi pali che sorreggevano il colmo del tetto. Le abitazioni erano anche frequentemente munite di un portico antistante e di un vestibolo o di una parte retrostante distinta dal corpo principale. Accanto a questi grandi edifici ne sono stati individuati degli altri, sempre di forma rettangolare, realizzati con lo stesso tipo di fondazioni a canalette ma di estensione assai minore (tra i 20 e i 40 metri quadrati), che dovevano rappresentare strutture accessorie destinate a stalle, magazzini, laboratori.

Il paesaggio di Monte Croce Guardia, tra i 3200 e i 3000 anni fa, era diverso da quello attuale. L’area del villaggio era poco o per nulla alberata, ma attorno all’abitato era presente una grande varietà di alberi. Lo studio dei carboni rinvenuti nello scavo ha permesso infatti di riconoscere piante quali il carpino nero, l’orniello e i querceti costituiti da roverella e cerro. Inoltre erano presenti il carpino bianco, l’acero, l’olmo, l’ontano e varie specie della famiglia delle rosacee. La macchia mediterranea, rappresentata da piante sempreverdi, quali il leccio e addirittura il mirto, potrebbe indicare un clima leggermente più caldo di quello attuale.

Attorno al villaggio, e forse in parte all’interno di esso, veniva svolta un’intensa attività agricola. L’analisi dei resti di semi e frutti ritrovati negli scavi ha permesso di definire le principali coltivazioni quali orzo, farro, frumento, miglio e avena. Erano anche presenti, sebbene in misura più limitata, i legumi tra cui la lenticchia e la veccia. Bacche e frutti spontanei erano raccolti per uso alimentare e/o officinale.

Gli abitanti del villaggio erano assiduamente occupati nell’allevamento di animali domestici soprattutto suini, caprovini, utilizzati in parte per la produzione di lana, e bovini che venivano impiegati anche come forza lavoro per arare i campi o per trainare i carri. Meno praticata era invece la caccia, prevalentemente di grandi ungulati (cinghiali, cervi e caprioli).