Alle pendici del Monte Sant’Angelo, su un piccolo pianoro denominato I Pianetti, sono state messe in luce un’antica area di culto e una necropoli di straordinario interesse archeologico.

 

Oggetti di inequivocabile carattere votivo testimoniano la lunga frequentazione del luogo di culto, dalla fine del VI secolo a.C. all’età romana imperiale. La necropoli costituita da un numero imprecisato di tombe, ha restituito una cinquantina di sepolture attribuite a un gruppo di Galli Senoni. Una tribù celtica che si era insediata nell’area medioadriatica tra la fine del V e l’inizio del IV secolo a.C. Altre tombe, scarsamente documentate, sono riconducibili a epoca romana.

I Senoni, stanziatisi in territorio piceno, seppellirono i loro defunti proprio in prossimità di quell’area sacra già esistente un secolo prima del loro arrivo e frequentata a lungo anche dopo l’esaurirsi dell’utilizzo della necropoli.

L’area sacra di Montefortino

Le offerte votive sono state rinvenute nei pressi della confluenza di due ruscelli, da cui trae origine il Fosso di Montefortino che costeggia la necropoli. Uno dei due corsi d’acqua, interrandosi per un breve tratto, riemerge dalla roccia come sorgente limpida e fresca, già nota in antico e utilizzata dagli abitanti del luogo. La deposizione di ex voto in contesti naturali, isolati, in grotte e anfratti, non lontano da fonti, era una pratica devozionale rivolta a divinità protettrici dei luoghi e delle acqua. Piceni compresi.

Alla fase picena di VI-V secolo a.C. risalgono le offerte più antiche: bronzetti in lamina decorata a sbalzo e a piccoli punti in rilievo. Figure oranti maschili e femminili definite in modo schematico e sommario, avvicinabili sul piano stilistico a coeve produzioni umbro-laziali.

A questi si aggiungono piccoli vasi in terracotta d’impasto, i pocula, recipienti per bere e contenitori in miniatura per derrate, presenti come offerte in un ampio areale e in un lungo orizzonte cronologico, sia in luoghi di culto sia in contesti funerari.

Databili tra fine IV e I secolo a.C, sono gli ex voto anatomici in terracotta, a forma di utero e di altre parti del corpo umano, come piedi e mani, ma anche statuine perlopiù femminili (tanagrife) e raffigurazioni animali (bovidi). Caratteristici dell’età imperiale (I-II secolo d.C.), i labra, vasi a fruttiera, su alto piede decorati da cordoni a rilievo, recano talora iscrizioni gratulatorie come la seguente:

Pri[s]cus L. Helvenatii Celeris servus votum solvens libens merito donum dedit

(Prisco, servo di Lucio Elvenazio Celere, sciogliendo il voto volentieri ha offerto il dono giustamente).

I doni votivi esprimevano il ringraziamento a una o più divinità del luogo per avere esaudito un voto oppure erano richieste di intercessione per ottenere aiuto e protezione per sé o per la comunità in particolari momenti della vita. A Montefortino proprio la presenza di una sorgente fa supporre che il culto fosse legato a divinità delle acque salutari e benefiche.

 

Montefortino di Arcevia: la necropoli

L’eccezionale scoperta della necropoli di collega con l’avvio nel 1895 di scavi archeologici controllati in località I Pianetti, in alcuni terreni di proprietà della famiglie Marcellini, Carletti Giampieri e Anselmi dove, già a partire dal 1894, erano emerse casualmente le prime tombe, durante lavori agricoli. L’attività di ricerca diretta da Edoardo Brizio, all’epoca Regio Commissario degli scavi dell’Emilia e delle Marche, mise in luce un’area funeraria. Una cinquantina di tombe fu attribuita dallo stesso Brizio ai Galli Senoni per la frequenza nei corredi di armi di tipo transalpino. La presenza dei Senoni, documentata in altri siti marchigiani come Serra San Quirico, Moscano di Fabriano, Santa Paolina di Filottrano e San Filippo di Osimo, si inserisce in un più ampio fenomeno migratorio che portò alcune tribù celtiche, tra la fine del V e l’inizio del IV secolo a.C., a spingersi verso sud, occupando la parte settentrionale della nostra penisola. I Senoni, anch’essi portatori della cultura di La Tène, furono l’ultimo gruppo di Celti ad arrivare e a stanziarsi nel medio Adriatico.

Le tombe definite galliche sono databili dal secondo venticinquennio del IV a tutto il III secolo a.C. Il sepolcreto fu utilizzato anche dopo l’avvio della completa romanizzazione del territorio a seguito della battaglia del Sentinum del 295 a.C., vinta da Roma contro una coalizione di popoli comprendente Etruschi, Sanniti, Umbri e anche Galli Senoni. I defunti, inumati in fosse rettangolari o quadrate, alcuni in cassa lignea, erano accompagnati da sfarzosi corredi. Armi. gioielli, ornamenti d’oro, d’argento e bronzo, suppellettili e vasellame domestico di produzione locale e di importazione documentano importanti interconnessioni culturali.

La scoperta ebbe risonanza internazionale. Il ricco patrimonio archeologico, agli inizi del Novecento, fu quasi interamente alienato dai legittimi proprietari dei terreni, in parte attraverso i circuiti del mercato antiquario, in parte venduto o donato allo Stato italiano, confluendo nel Museo Archeologico Nazionale delle Marche. I trasferimenti di sede del Museo, le vicissitudini legate ai due conflitti mondiali e al disastroso terremoto che colpì Ancona nel 1972 hanno determinato dispersione di materiali.

Oltre la vita. Ricchi corredi funerari

Spade, lance, giavellotti, pila, elmi di bronzo e di ferro accompagnano le deposizioni maschili. Sono le armi, eccezionalmente numerose della necropoli di Montefortino, a connotare lo status di uomo libero, a definirne il valore e l’importanza all’interno della comunità. Tra quelle difensive, l’elmo con paraguance, paranuca e bottone sommitale è caratteristico della panoplia del guerriero. Leggero e funzionale ha dato il nome a una foggia diffusa in ambito etrusco-italico, nota come “tipo Montefortino”. I restauri hanno recuperato le originarie decorazioni delle parti metalliche (motivi a cordone, a treccia, reticoli a croce) e residui di smaltatura di colore rosso.

Preziosi ornamenti caratterizzano i corredi femminili. Tre eccezionali corone d’oro a composizione floreale dalla tomba VIII, esposte al Museo Archeologico Nazionale delle Marche, sono capolavori di oreficeria della Grecia settentrionale. Collare a capi aperti, bracciali, orecchini e anelli richiamano l’arte orafa dell’Egeo orientale, dell’area del Mar Nero o fogge magnogreche. Le donne di Montefortino indossavano anche monili di gusto celtico. La cultura di La Tène si ravvisa in fibule di bronzo e di ferro, in un collare d’oro, in un bracciale di vetro e in un’armilla in filo d’argento a meandri. In minor misura si riscontrano fibule e bracciali piceni. Di importazione sono i vaghi in pasta vitrea di provenienza fenicio-punica e rodiota. Contraddistinguono queste sepolture specchi di bronzo di manifattura etrusca, pettini d’avorio e raffinati unguentari del Mediterraneo orientale.

Integrano i corredi maschili e femminili, indistintamente, oggetti per la cura del corpo, come lo strigile, spatola ricurva in metallo per la detersione, e contenitori per olio, a eccezione di rasoi e cesoie destinati ai soli uomini. Condivisi erano anche calderoni, spiedi, alari, coltellacci, vasi da banchetto e da simposio in ceramica e metallo. Di eccezionale valore il servizio da simposio in argento della ricca tomba XXXIII, dal 1908 nel Metropolitan Museum di New York, mentre il resto del corredo è esposto al Museo di Arcevia. Simboli di ricchezza e di status, queste complesse associazioni di oggetti eterogenei attestano contatti interetnici e assimilazione di linguaggi autorappresentativi del prestigio e di un rango che il defunto ostenta anche di fronte alla morte.