Ponte di Pietra: un’officina litica all’aperto
Posto su un terrazzo fluviale, formato dal fiume Misa e da un suo affluente, a 225 metri sul livello del mare, Ponte di Pietra è uno dei siti più antichi del territorio arceviese occupato dall’uomo preistorico tra 20.000 e 18.500 anni fa, nel periodo del Paleolitico superiore denominato Gravettiano finale.
Il luogo venne scelto per alcune caratteristiche: abbondanza di acqua e presenza di affioramenti di selce, la pietra sedimentaria silicea usata per fabbricare i primi utensili e raccolta nelle vicine formazioni naturali, note con il nome di “scaglia rossa” e “scaglia bianca”.
L’ottima selce marchigiana era estratta e lavorata in loco come attesta l’alta concentrazione di schegge, di lame non ritoccate e nuclei grezzi o appena abbozzati. Questa officina all’aperto ha restituito, tra gli strumenti finiti, bulini (punte per incidere), grattatoi (lame per raschiare), gravettes e microgravettes (punte a dorso e ritocco profondo, sottili e penetranti, una delle principali innovazioni dell’industria litica del Gravettiano).
Le punte di selce erano usate come armi per la caccia che, assieme alla raccolta di frutti spontanei, era la principale attività di sussistenza dell’uomo del Paleolitico. Lame per raschiare servivano anche per modellare materiali deperibili come osso, corno e legno da cui ricavare manici per utensili oppure speciali attrezzi per ritoccare o percuotere. Resti di focolari, un’elevata presenza di residui carboniosi, buche di palo fanno presumere l’esistenza di un accampamento stagionale costituito da capanne a copertura conica in materiale deperibile come pelli animali, funzionale all’attività di sfruttamento della selce.
Sono da considerare probabili elementi di ornamento personale le piccole conchiglie marine, forate intenzionalmente e utilizzabili come pendagli, non prive di valenze magico-rituali e indicatori di scambi tra l’entroterra e le zone costiere in un periodo, l’ultima glaciazione, in cui la zona altoadriatica era in regressione marina e la Pianura Padana raggiungeva l’Istria e la Dalmazia. Uno sguardo sull’ambiente naturale del sito, attraverso i resti fossili della flora e della fauna raccolti nel giacimento archeologico, conferma le difficoltà dell’uomo preistorico di vivere dentro una glaciazione.
Temperature rigide, pianure incolte, pochi alberi sempreverdi di conifere, vaste aree prive di abitato: questa è l’immagine del paesaggio würmiano, l’ultimo periodo glaciale. L’analisi dei pollini (palinologia) ha evidenziato specie erbacee proprie di un clima continentale arido e freddo e di un ecosistema con scarsa vegetazione, la prateria steppica adatta ad animali selvatici, allo stato brado come il cavallo (Equus), la cui presenza è segnalata nel sito da alcuni denti.
L’uomo di Ponte di Pietra si muoveva in un ambiente aperto e poco ospitale. La sua dieta era principalmente proteica. Infatti la sopravvivenza di una comunità di cacciatori-raccoglitori del Paleolitico superiore, in un habitat poco accogliente, dipendeva soprattutto dall’attività venatoria, praticata cacciando con armi di selce mammiferi come cervi, cinghiali, roditori ed equidi.
In un periodo compreso tra 20.000 e 18.500 anni fa, all’interno del secondo Pleniglaciale würmiano, si registrò una fase climatica più umida e temperata suggerita dalla comparsa, accanto alle essenze arboree del genere Pinus, anche di sporadici esemplari di latifoglie come la quercia, il frassino e il carpino che attestano il processo di rimboschimento in atto in alcune aree, correlabile con un generale miglioramento delle condizioni insediative.
Cava Giacometti. Un sito di lunga frequentazione
Scoperto in seguito ai lavori eseguiti nella cava che ne hanno in parte distrutto il deposito, il sito vanta una significativa storia archeologica: tre fasi distinte di occupazione, anche se in maniera non continuativa, dal Neolitico finale all’età del Bronzo.
Delle superstiti testimonianze archeologiche, i frammenti di vasellame ceramico di uso domestico (scodelle troncoconiche e carenate, pentole e olle), in alcuni casi con i caratteristici fori per la riparazione del vaso già in antico, attestano una frequentazione databile intorno alla seconda metà del IV millennio a.C.
In questa fase ancora ben rappresentata è l’industria litica con strumenti di selce (lame e lamelle per tagliare, accette e picconi per la lavorazione del legno e punte di freccia per la caccia). Strumenti in osso (punteruoli), bulini e grattatoi in selce, fuseruole e pesi da telaio in terracotta documentano le attività che quotidianamente si svolgevano nel sito.
Va notata la presenza di una rara piastrina troncoconica in pietra verde levigata con probabile funzione ornamentale. Caratteristiche della fase eneolitica, metà del III millennio a.C., sono alcune ceramiche di impasto grossolano con le tipiche decorazioni a squame e impressioni a scorrimento e inoltre le accette bifacciali in selce di tipo campignano (industria macrolitica di scheggiatura bifacciale della selce per ottenere strumenti come asce e accette destinate al taglio e alla lavorazione del legname).
I livelli superiori relativi all’età del Bronzo (1400 a.C.) hanno restituito scodelle a orlo rientrante e anse sopraelevate nastriformi. Motivi geometrici incisi oppure cordoni lisci applicati sulla superficie impreziosiscono il vasellame ceramico.